Questo
numero monografico sull'India non pretende tanto, ma cerca di approfondire
almeno un aspetto
di questa millenaria
civiltà esplorandone i giardini. E, come spesso accade, le riflessioni
relative agli interventi umani sul paesaggio conducono a letture ben
più ampie. Qui svelano, oltre a molto altro, il nobile intento
(all'epoca più che riuscito) di far convivere pacificamente due
fedi religiose contrastanti come l'induismo e l'Islam.
Le descrizioni, dotte e accuratissime, dei giardini-mausoleo del periodo
moghul coevi delle ville palladiane, dei giardini chaharbag, di quelli
scenografici a terrazze ereditati dalla Persia e dei giardini-isola
creati nella stessa epoca del giardino Borromeo dell'Isola Bella, aprono
interessanti prospettive storiche e culturali. Forse l'articolo più denso
a questo riguardo è "II sogno di Akbar", che illustra
il modernissimo programma sociopolitico di un sovrano-dio, al potere
per oltre mezzo secolo. Fondendo insieme elementi della tradizione musulmana
e induista, diede vita a un "meticciato" artistico
per tenere uniti tra loro monoteisti e politeisti sotto la cupola di
un religione "condivisa" in
cui tutti si riconoscevano. Con grande lungimiranza, affermò anche
il principio di uguaglianza tra sudditi indù e sudditi musulmani,
una ricetta che in tempi di fondamentalismo globalizzato sembrerebbe
più che auspicabile. A rischio di abusare di un'espressione inflazionata,
Akbar il Grande incarna il vero illuminato. E per restare sull'onda più evocativa,
non si può tralasciare l'episodio raccontato nell'articolo "Indian
Garden in Mede Lomellina", ambientato alle nostre latitudini. La
visita a sorpresa di uno sconosciuto, a cavallo di una moto, che chiede
lumi su come costruire un gazebo uguale a quello di Vita Sackville-West
nel terreno della sua cascina lombarda, è degna di un racconto
di Gogol o di Simenon. E una continua sorpresa, per i profani, scoprire
che la creazione di un giardino possa assumere accenti filosofici tali
da ricordare un antico apologo. O, nei passaggi più poetici, una
favola mediorientale. E ancora fiabesco, nella descrizione di Maurizio
Usai, è il giardino-bosco di Antje Presti nei pressi di Roma.
Sotto i grandi alberi, tra le foglie e l'erba, si alternano nel corso
dell'anno fioriture di piccole piante, spesso bulbose - bucaneve,
ciclamini, narcisi, coridali, scille - che trasformano il
sottobosco in un arazzo incantato.