di Marta Matteini

 

Ecco un numero di Rosanova all’insegna di forti contrasti in cui il giardino è la rappresentazione di universi molto distanti tra loro che ci fanno riflettere sulle finalità del giardiniere e/o del committente. Sapendo che la creazione di un giardino è lunga e laboriosa, a prescindere dalla sua estensione, è cruciale capire se e quali obiettivi si prefigge il progettista, a quale visione del mondo e sistema di valori fa riferimento. Nel caso del giardino di Laura Barsotti e di Paolo Monicelli presso Vicopisano, alle pendici meridionali del Monte Pisano e di quello di Michele Calore ai piedi dei Colli Euganei, l’intento principale è valorizzare l’esistente con interventi contenuti e rispettosi del luogo, anche se non privi di creatività. Le caratteristiche che emergono sono armonia, equilibrio e semplicità, il tutto radicato in un antico sapere che fonde bellezza e tradizione, accompagnando i visitatori a vivere autentiche esperienze emotive, senza ricorrere a nulla di plateale. D’altro canto, leggendo gli articoli sui giardini di Villa Giulia, lungo la via Flaminia, e su quelli di Palacio Fronteira a Lisbona, nonostante le dovute differenze, emerge una concezione magniloquente degli spazi e del verde perché avevano la finalità di celebrare il potere di un’élite. Nel primo caso la famiglia del Monte, a cui apparteneva Papa Giulio III, artefice di quel luogo incantato ricco di decorazioni vegetali e dipinte, piante odorose, voliere, fontane, giochi d’acqua e ninfei che i contemporanei descrissero come “l’ottava meraviglia del mondo”. Nel secondo caso, invece, si rendeva onore, con accenti eroici e grandiosi, all’epopea nazionale portoghese, ai cavalieri aristocratici che si batterono per l’indipendenza dalla Spagna e alle dinastie reali che seguirono.
Questa eterogeneità di paesaggi e di contesti storico-sociali caratterizza da sempre Rosanova che cerca di raccontare più storie di vita che di giardini, anche se spesso le due si sovrappongono. Alla nostra lettrice che nota un certo “classismo” nelle scelte redazionali, in base al quale saremmo orientati a prediligere le proprietà di personaggi nobili o facoltosi, mi piace rispondere che “i giardini marginali” o “di persone con poche risorse materiali” ci affascinano quanto le tenute principesche, poiché ogni giardino è un percorso di vita, degno di rispetto e di ammirazione nella misura in cui rappresenta la realizzazione di un sogno. Grande o piccolo che sia. È vero che non esiste una storia sociale dei giardini, come sottolinea Guido Giubbini, ed è auspicabile che qualche storico o ricercatore si appassioni a questa impresa perché potrebbe insegnarci molto sull’evoluzione, o involuzione, dei paesaggi che conosciamo.

Sotto: il Paradiso delle farfalle (foto Ferruccio Carassale)