Qualche decennio fa le scuole elementari celebravano la Festa degli alberi, quando ancora non si parlava di effetto serra né di desertificazione del pianeta. Era certamente un messaggio ecologista ante litteram, anche se nessuno dei bambini conosceva ancora la parola ecologia. Ciascuno di loro piantava un fuscello che poi, nel corso degli anni, avrebbe abbellito il paesaggio e magari ripulito l'aria assorbendo CO2 se, nel frattempo, l'urbanizzazione lo avesse raggiunto. Il mio, ammesso che ci sia ancora, è cresciuto su una collina tuttora fuori città e adesso, dopo tanti anni, vorrei ritrovarlo per sapere se è in buona salute. Certo che se la Festa degli alberi avesse avuto cadenza annuale, nessun bambino avrebbe dimenticato il "suo" albero, anzi l'avrebbe seguito nella sua evoluzione, con grande beneficio per entrambi. Averlo piantato sarebbe stato l'inizio di un progetto di vita, a lungo termine, e non un gesto isolato, quasi fine a se stesso.
Questi ricordi lontani sono riaffiorati alla mente dopo aver letto l'articolo "Aceri alla giapponese" di Giulio Veronese, esperto orticultore e raffinato garden writer, che ha molto da insegnare sul rapporto con la natura. La maniera in cui l'autore racconta la sua esperienza a fianco di un giardiniere giapponese in occasione della potatura degli aceri ha gli accenti di un'iniziazione. Si legge quasi trattenendo il respiro per non perdere l'intensità dell'osservazione e "dell'ascolto" di rami e foglie. La potatura è preceduta da una sorta di meditazione zen: il giardiniere, spiega Veronese, deve innanzitutto cogliere la vibrazione dei rami e la loro impermanenza, puntando a un ordine asimmetrico e naturale.
Se il giardino giapponese ha le caratteristiche di una "palestra spirituale", non sono certo da meno i boschi che circondano i monasteri benedettini sorti intorno all'XI e XII secolo. Lo narra il colto excursus di Guido Giubbini sui monasteri dei Camaldoli e di Vallombrosa dove chierici e conversi seppero gestire il patrimonio forestale circostante all'insegna del rispetto della natura e della sostenibilità, mantenendo un perfetto equilibrio tra il bosco come luogo di ispirazione religiosa e come mezzo di sussistenza per via del legname. Regolato da un vero e proprio codice forestale, il bosco doveva essere regno di bellezza, silenzio, solitudine e al tempo stesso di prosperity. Senza pretendere di interpretare i fondamenti della vita monastica, una custodia così attenta della foresta, che doveva sempre crescere e prosperare, sembra la risposta più naturale al richiamo che gli alberi hanno da sempre. Simboli universali di tutto ciò che si rinnova ciclicamente, nella loro verticalità connettono anche la terra e il cielo - radicati in basso nel terreno, affondano i rami nell'aria. Solidi e aerei al tempo stesso. Pur non essendo eremiti, è inevitabile volgere lo sguardo verso l'alto, anche solo per ammirarne la maestosità ed essere grati della loro esistenza.
ERRATA CORRIGE
Nell'editoriale del numero precedente (48, aprile 2017) la Presidente dell'Associazione Culturale Giardini e Paesaggi Milena Matteini è stata erroneamente definita "presidente del consiglio d'amministrazione" e la rivista Rosanova quadrimestrale anziché trimestrale.
Ce ne scusiamo con i lettori.