Visto che siamo quotidianamente invitati a pronunciarci sulle questioni più diverse, dalla lotta contro la tortura alle specie animali in estinzione, potremmo aprire l'anno nuovo con un appello a sfondo educativo: istituire corsi online obbligatori per tutti i cittadini maggiorenni su che cosa è un giardino degno del nome. Tenuti da autentici giardinieri, ovvero persone che si sporcano le mani e che capiscono le piante, non da specialisti improvvisati.
Ironia a parte, in questo numero appare evidente che l'italiano medio ignora l'arte del giardiniere e troppo spesso non tiene conto di ciò che esiste già in un luogo, né della relazione tra elementi naturali ed elementi edificati. "L'Italia ha i giardini più brutti d'Europa", denuncia Guido Giubbini nell'articolo sul bell'orto-giardino a Calvi, perché tanti connazionali, quando sono alle prese con un terreno, si sentono autorizzati a operare in assoluta libertà, senza preoccuparsi di conoscerne la storia, in quanto parte di un preciso paesaggio. Prevale "incultura e un complesso di inferiorità" che spinge a un protagonismo spesso insensato, sottolinea ancora Giubbini, imposto agli ignari passanti perché i giardini si vedono: pur trattandosi di spazi privati, diventano automaticamente "pubblici"! Ecco quindi la necessità di educare a un giardinaggio "coerente" con l'insieme preesistente, proprio perché il prodotto finale è patrimonio di tutti. Ben consapevole di questo, la coppia che ha creato il giardino a Calvi, in Umbria, ha saputo armonizzare il "vecchio" e il "nuovo" con tale sensibilità da ottenere un orto-giardino secondo la migliore tradizione contadina.
Non c'è solo l'incoerenza ad affliggere le sorti degli spazi verdi. Nell'articolo sul "Giardino della quiete" in una Residenza sanitaria assistita di Udine, riuscito esperimento a misura di degente, emerge un'altra questione. Nella progettazione i giardini vengono quasi sempre per ultimi, si devono inventare a cose fatte, tra edifici, strade, recinzioni, tubature o impianti preesistenti. Nonostante ciò, l'architetto Sello e il paesaggista Stampanato, attraverso i profumi, i colori e le piante a foglia caduca che scandiscono le stagioni, sono riusciti a creare uno spazio ad hoc per i malati di Alzheimer.
La scarsa qualità dei giardini privati italiani può essere dovuta all'incapacità o al cattivo gusto dei singoli, ma quando si pensa agli Orti Botanici nostrani al limite della sopravvivenza, la questione diventa politica. Leggendo l'articolo di Maria Mercedes Zangari Parodi sugli splendidi Orti botanici di New lork, che godono di generosi finanziamenti sia pubblici che privati e abbondano di iniziative, appare chiaro che la realtà italiana non regga il confronto. Colpa del mantra sempre meno realistico ma duro a morire, che "con la cultura non si mangia"? Perché gli industriali italiani non diventano Garden Patrons come accade all'estero e tutelano la biodiversità degli Orti botanici, rendendoli poli di attrazione per ricerca e cultura? Anche al di qua dell'Oceano i magnati investono fortune nel verde, come svela la storia di Mount Stewart, vicino a Belfast, uno dei più bei giardini del Regno Unito, oggi proprietà del National Trust.
Alla radice di tutto ciò forse una mancata consuetudine a conoscere e a rispettare natura e vegetazione, come se non meritassero attenzione perché comunque presenti nel nostro panorama quotidiano. Si ha la percezione che le piante facciano il loro corso (che è anche vero) e noi il nostro, in un eterno scollamento. Quando invece qualsiasi giardino è il frutto di una relazione con chi lo cura, da esso curato al tempo stesso. Daniele Mongera, in un toccante ricordo di Pia Pera, fine intellettuale e sofisticata giardiniera scomparsa prematuramente, celebra proprio l'affinità che legava l'autrice alla sua oasi di pace in Lucchesia. Al giardino non l'ho ancora detto, suo ultimo scritto, è un dialogo profondo dagli acòcenti filosofici sul tempo e sull'altrove che si avvicina. Lucido e illuminante, fino alla fine.