di Marta Matteini

Un certo distacco permette di avere una visione più corretta delle cose. Nella pittura abbondano esempi di immagini proiettate su una superficie piana in modo distorto per essere riconoscibili soltanto se viste da una posizione precisa. Al museo Leonardiano di Vinci, corredato di apparati didattici per le scuole, spicca una riproduzione dell'Annunciazione. Se si resta di fronte al quadro, alcuni dettagli sono fuori scala. Non appena ci si sposta di lato sulla destra, come indica la scheda museale, le proporzioni si ricompongono, di modo che le figure appaiono nella loro giusta postura e dimensione.
La tecnica ottica dell'anamorfismo doveva essere ben nota a Leonardo, ma meno agli studiosi che per secoli hanno parlato di errore prospettico. Una piccola divagazione da cui prendo spunto per esprimere la mia riconoscenza a Guido Giubbini riguardo all'articolo sul fotografo tedesco Karl Dietrich Bühler, perché mi ha permesso di trovare la giusta distanza da cui osservare i suoi scatti. Essendo io molto vicina all'artista per motivi familiari, ho sempre guardato (e apprezzato) le sue foto da troppo vicino, e non mi riferisco a coordinate spaziali, quanto emotive. L'analisi di Giubbini, cosi puntuale e suggestiva, mi ha fatto cambiare sguardo e cogliere nuovi aspetti nell'arte di Bühler, un fotografo-artista in cui conoscenza, sensibilità e poesia sono un tutt'uno.
Echi poetici emergono anche nel reportage, ricco di spunti storici e antropologici, di Maria Laura Beretta su Praga, visitata nel lontano '89, anno della caduta del muro. Lontano perché sembra davvero parlare di un altro secolo e tutte le limpide istantanee che ci regala l'autrice su botteghe, oggetti d'antiquariato, feste e tradizioni, hanno un poco il sapore delle cose perdute. La Praga di oggi, meta di voli low cost, avrà saputo preservare i tanti piccoli gioielli e le atmosfere uniche qui evocati con tanto garbo?
Il giardino torna protagonista nel diario avvincente di Rosanna Castrini che narra la nascita e le metamorfosi del suo terreno nell'arco di un quarto di secolo. Trovandosi in una posizione poco felice, ha reso necessario un massiccio risanamento, a cui poi è seguita la costruzione del giardino, avendo come modelli Leon Battista Alberti e Gertrude Jekyll. Oggi Hortus Florae è un trionfo di colori e di profumi.
Maria Grazia Toniolo ci accompagna invece in una villa romana in cui ha lavorato per un decennio, facendo parte di una squadra di volontari a seguito dell'archeologo Gaetano Messineo. Si tratta della Villa di Livia a Prima Porta, un tesoro a lungo dimenticato, sepolto da detriti e cumuli di terra, in cui spicca una splendida stanza semipogea voluta dall'imperatrice, sulle cui pareti è dipinto un giardino ideale, con cielo terso, piante rigogliose cariche di frutti e di fiori, solcate dal volo di decine di uccelli variopinti. Gli affreschi, recuperati a metà dell'Ottocento, sono conservati a Palazzo Massimo, un incanto tutto da scoprire. Il giardino, quello vero, ha avuto altro destino, ma come scrive l'autrice con filosofica accettazione, nulla è permanente. Dopo un'involuzione o una crisi può però sempre nascere qualcosa di inatteso. E insperato. Come racconta Maury Dattilo riguardo villa Sista, nei dintorni dell'Aquila, diventato un luogo magico, disseminato di rose, clematis e papaveri orientali, dopo un evento traumatico come il terremoto.