Se quel lontano gennaio del 2005 quando scrissi il primo editoriale per Rosanova, qualcuno mi avesse detto che questo sarebbe diventato un appuntamento trimestrale a cui non avrei più potuto mancare, lo avrei ritenuto quanto meno azzardato. Abituata alla volatilità di periodici che nascono e muoiono nel giro di poche stagioni, seppellendo con sé il lavoro di tanti collaboratori, il legame che si instaura con la redazione e con i contenuti affrontati dalla testata, e non ultimo le attese dei lettori, devo riconoscere che Rosanova mi ha piacevolmente sorpreso. E continua ad aprirmi nuove prospettive.
Questo che avete tra le mani è il quarantesimo numero della rivista, nata nell'aprile 2005, esattamente dieci anni fa. Un anniversario che non possiamo non festeggiare con soddisfazione perché Rosanova esiste, e resiste, esclusivamente grazie alla passione, alla disponibilità e alla competenza della redazione e dei suoi pregiati collaboratori. In questo decennio, pur non uscendo in edicola, la rivista ha saputo attrarre una nutrita comunità di lettori, esperti e non, tutti animati dallo stesso interesse: guardare al paesaggio con occhi più consapevoli grazie all'inquadramento storico, architettonico, botanico e culturale che caratterizza tutti i suoi articoli. A cui si aggiunge il ricco apparato iconografico senza il quale Rosanova non sarebbe quello che è.
Quali gli argomenti di questo storico numero? Guido Giubbini ci illustra l'opera del giardiniere ufficiale di casa Savoia, Xavier Kurten, tedesco trasferito in Piemonte dove realizzò grandiosi parchi per tutta la nobiltà piemontese, tra il 1820 e il 1840. Come quello di Racconigi, fortemente voluto da Carlo Alberto, re agricoltore che lo fece diventare un'azienda agricola a tutti gli effetti. Kurten aveva la capacità di valorizzare spazi aqricoli e spazi di svaqo con maqistrali scenografie naturali dove campagna e giardino quasi si confondevano, principio cardine del giardino all'inglese.
Ma non esistono soltanto grandi giardinieri. Saper cogliere l'essenza di un giardino con l'obiettivo, trasmettendone l'energia e la storia segreta, rivela una pari sensibilità, come si legge nell'articolo sul fotografo Ferruccio Carassale, ex ferroviere ligure che da profano di botanica diventò un grande narratore del paesaggio, immergendosi "anima e corpo" tra alberi, fiori e prati, in attesa di fare lo scatto rivelatore che ci fa vedere oltre ciò che è immediatamente visibile.
Non a caso la sua mostra ha per titolo "Trasparenze".
Approdiamo poi nella Trieste di Massimiliano d'Austria, e precisamente al giardino del castello di Miramare, suo gioiello, oggi proprietà del demanio e minacciato dal degrado. Nell'interessante ricostruzione storica del parco, si scopre che l'arciduca, diventato poi imperatore del Messico dove venne assassinato nel 1867, era un appassionato botanico che avrebbe forse preferito dedicarsi alle piante piuttosto che all'amministrazione del potere. Durante un'uscita in mare a Trieste, l'arciduca è colpito dalla bellezza del promontorio di Grignano dove poi fece erigere il castello e costruire il parco, pianificato insieme al giardiniere boemo Anton Jelinek. Documenti inediti hanno svelato che il progetto originario di Massimiliano è stato tradito dall'incuria e da interventi improvvisati. Il parterre, per esempio, era un insieme di volumi che si rifletteva in mare, e non una superficie piatta. Anche lo stretto rapporto tra il verde e l'acqua non si coglie più, essendo impossibile accedere al castello dal mare. Un parco storico, quello di Miramare, che merita di recuperare la sua identità, già alquanto tradita.