di Marta Matteini

Uno dei tanti pregi di Rosanova è quello di narrare storie di giardini che incarnano progetti di vita, rinascite sorprendenti, riscatti personali o sociali, sogni mai sopiti di una famiglia o di una comunità, fantasie audaci, visioni inedite di mondi possibili. Quando il risultato si rivela particolarmente felice, siepi, bordure, fronde e pergolati assumono il valore di testimonianza, tanto che meriterebbero, a tutti gli effetti, di essere promossi a patrimoni dell'umanità in quanto sintesi armoniosa di natura e cultura.
Su queste pagine abbiamo letto tante volte storie sorprendenti di terreni trasformati o salvati dall'incuria e dall'abbandono nell'arco di intere esistenze, segnate da svolte memorabili proprio in seguito a quell'impresa. Molti hanno qui raccontato che la "scoperta" della terra li ha ricondotti all'origine, al punto da cui sarebbero voluti partire fin dall'inizio pur senza saperlo, a una specie di nuova centratura, di ritrovamento di sé. Sensibilità, costanza, passione e dedizione hanno fatto il resto.
Qualsiasi giardiniere che si riconosca in questi tratti sa che un giardino non si possiede mai poiché è una creatura che gode di vita propria, ma al contrario ammette che se ne possa essere posseduti, nell'accezione più entusiasmante della parola, al punto da identificarsi in esso totalmente. Esemplare in questo senso la storia della principessa rumena Jeanne Ghika e Villa Gamberaia, "un giardino come tanti altri a Firenze e in Toscana che non sarebbe certo giunto all'attuale notorietà senza il geniale intervento della Ghika", scrive Guido Giubbini nel suo articolo. La nobildonna, che trasformò l'impianto settecentesco originario del giardino in water garden, si dedicò alla Gamberaia per un quarto di secolo con tale passione che i destini di entrambi sono stati gloriosi finché intimamente intrecciati l'uno all'altro. Nel momento in cui la principessa lascia, nel 1925, quella proprietà, la parabola ascendente si interrompe. Jeanne Ghika si ritira dal bel mondo per poi morire dimenticata da tutti, e il giardino, dal canto suo, perde riflessi, trasparenze e leggerezza.

La "corrispondenza d'amorosi sensi" tra chi investe tutto se stesso nella cura di un giardino e il giardino stesso è in grado di superare anche climi e condizioni sfavorevoli. Nel bel reportage sulla Siria di una decina di anni fa, un Paese ricchissimo di storia e di tesori d'arte ora devastato dalla guerra civile, ancora Giubbini ci narra dell'impresa di un gesuita italiano che, a metà degli anni Ottanta, ha restaurato e riconsacrato il monastero bizantino di Mar Musa, creandovi una comunità monastica interreligiosa. Progetto coraggioso, soprattutto se lo guardiamo in tempi di esacerbato fanatismo. Su quello sperone roccioso che si affaccia sul deserto, Paolo Dall'Oglio ha certamente realizzato un sogno e il monastero ha trovato la mano che lo ha fatto rinascere.