di Marta Matteini

«Ciò che si incontra lungo il cammino verso una meta è parte integrante della meta stessa, condiziona pensieri ed aspettative e induce, anche incoscientemente, alterazioni nelle nostre percezioni; evoca suggestioni e predisposizioni emotive che possono essere confermate ed esaltate o del tutto disattese, ma che certo influenzeranno i nostri convincimenti».
Queste poche righe, "rubate" dall'articolo di Maurizio Usai sul giardino di Anne Wareham nel Monmouthshire, terra di confine tra Galles e Inghilterra, riassumono con efficacia lo spirito di Rosanova, che non racconta mai un ambiente partendo da una singola prospettiva o punto di vista, ma predilige uno sguardo ampio, profondo, "verticale", che attraversi lo spazio e il tempo, in modo da abbracciare le stratificazioni formali e culturali, oltre alle presenze botaniche e umane, che caratterizzano qualsiasi giardino, luogo o regione narrato su queste pagine.
Partendo dal testo di Usai, leggiamo infatti che per apprezzare a pieno Veddw House, "casa modesta quasi fagocitata dal giardino", non si può prescindere dalla figura della sua creatrice, Anne Wareham, personalità anticonformista del giardinaggio britannico, coordinatrice del gruppo ThinkinGardens, che incoraggia uno sguardo più critico ai giardini, e si rivolge a giardinieri e non giardinieri, a chi, in breve, non si accontenta di un semplice "gardening for gardens".
In ogni luogo vanno cercate memorie, tracce ed eredità insospettabili, per cui è giusto e doveroso avventurarsi con il dovuto rispetto e con l'occhio attento dell'indagatore. Questo è l'approccio di Daniele Mongera quando racconta della Foresta Demaniale di Montarbu, vicino a Seui, la "Parigi della Barbagia", del suo carbone vegetale, delle leccete distrutte e di alcuni grandi "vecchi" del luogo, come un pioppo gatterino secolare, un leccio alto 25 metri e i carpini neri più grandi di Sardegna. Alberi che incarnano storie, come rende bene il geologo Marcello Cannas nel suo II bosco incantato. E se di bosco si parla, è inevitabile approdare al Sacro Bosco di Bomarzo, creato da Vicino Orsini tra il 1550 e il 1580.
L'articolo di Guido Giubbini propone una interessante "rilettura" del celebre Parco dei mostri in provincia di Viterbo, che lo vedrebbe come emanazione dell'area archeologica circostante, ricca di reperti etruschi. I grandi massi di frana disseminati nel bosco, da cui vennero ricavati altari sacrificali, tombe, nicchie, scale, croci, sono tracce di antiche basiliche e sepolcreti, come le figure fantastiche e soprannaturali rievocano l'atmosfera solenne e misteriosa dell'oltretomba, una costante dell'arte etrusca.
Sempre nel solco della memoria l'articolo di Tullia Rizzotti sulle tante varietà di mele della Valsesia, un patrimonio antico e misconosciuto, analizzato come una specie di "anagrafe botanica" attraverso cui si possono ricostruire i percorsi degli abitanti che lasciarono la valle per sfuggire agli inverni troppo lunghi e alla povertà, fin dal XV secolo, diretti in Svizzera, Germania, Francia e persino in Russia. Erano scalpellini, scultori e stagnini, esperti nella lavorazione del legno, del peltro, delle vetrate artistiche e del cosiddetto marmo dipinto, e ogni volta che rientravano in Valsesia portavano con sé qualche "marza" nuova, rametto carico di gemme strappato da un melo nordico, che innestavano sui meli locali. Da qui origina la grande varietà di colori, forme, profumi e sapori dei meli della Valsesia, oggi classificati grazie al lavoro di un'associazione di appassionati, Il vecchio melo, che ha anche riprodotto circa 150 antiche varietà a rischio estinzione.