Nel 2009, quando sono approdata in Russia per conoscere mia figlia, all'emozione di un incontro così unico e speciale, si è aggiunta quella per la scoperta della regione degli Urali, di cui il turista europeo sa ben poco, o nulla.
A due ore da Mosca, nello stesso fuso orario di Kabul, mi si è aperto uno squarcio: mi trovavo vicino alla Siberia e alle ex Repubbliche sovietiche orientali, nel cuore del continente, in un crocicchio di lingue e di culture millenarie. E Perm, la nostra destinazione, è una città nata nel '700 come stazione di posta per il commercio delle pellicce, ha più di un milione di abitanti, è in grande espansione economica (che purtroppo porta all'abbattimento delle isbe, le case rurali russe interamente di legno), vanta musei di arte sacra, collezioni di pittura europea, musei di arte contemporanea, ha svariate università, teatri, la migliore scuola di ballo di Russia che fornisce i ballerini al Bolshoi di Mosca. Circondata da boschi di betulle e nient'altro, sorge lungo il fiume Kama, importante affluente del Volga, anche più grande del Volga stesso prima della loro unione.
Di fronte a una scoperta del genere, non ho potuto che riconoscere la mia ignoranza, quella che porta a ragionare sempre in termini eurocentrici. La Russia fuori dalle rotte turistiche, le ex Repubbliche sovietiche giù, fino alla Cina, hanno il magnetismo delle terre antiche, per questo meritano di essere visitate con lo spirito umile e curioso del viaggiatore. Lo stesso spirito che anima questo numero di Rosanova, che ci porta dal Kirghizistan fino al Bengala. Scoprire che in un angolo maestoso dell'Asia centrale hanno origine tutti gli alberi da frutta coltivati in Europa e in Oriente è un piccola, grande, epifania regalata dal reportage-racconto sul Kirghizistan, scritto da Guido Giubbini in seguito a un viaggio compiuto nel 2009.
Chiunque ami le montagne, non potrà rimanere indifferente al potere evocativo di questa regione, solenne e imponente per conformazione, storia e cultura. La scarsa bibliografia e cartografia dei territori ex-sovietici, l'assenza della catalogazione della flora autoctona, hanno accentuato il carattere esplorativo del viaggio, che ha riservato gradevolissime sorprese.
Proseguendo verso est, approdiamo poi nel Bengala, o meglio il West Bengala dopo la Partizione del 1947, che annesse questo all'India e la parte orientale al Pakistan. L'autore dell'articolo, Anna Kauber, ha visitato questa regione tra le più popolate dell'India in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario della nascita di Tagore. E il racconto include anche l'avventura di una fattoria sperimentale del Distretto di Bankura dove, da una decina d'anni, si lavora per preservare le centinaia di varietà di riso bengalese, grazie anche a una banca di semi.
A quelle latitudini ci si batte per le coltivazioni biologiche, per ripristinare la rotazione delle coltivazioni, per recuperare una ricchezza antica. Nell'Appennino bolognese, a Poranceto, invece, come racconta Daniele Mongera, ci si batte per la sorte incerta di un castagneto secolare. Colpisce l'immagine di questi giganti, abbandonati fin dagli anni Sessanta, che resistono nonostante non producano più. Monumenti naturali che accolgono i visitatori nel loro grembo cavo, eppure non sono stati mai registrati e non compaiono nel catalogo nazionale pubblicato per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Per fortuna c'è sempre qualche individuo coraggioso che non si arrende. In questo caso è il giardiniere Paolo Tasini, che ha documentato e condiviso in Rete la bellezza e il valore di questi antichi alberi da frutto. Aprendo la discussione su che cosa significhi e che cosa comporti la conservazione di un paesaggio rurale storico e tuttora integro come quello.