In pieno clima di celebrazioni per il centocinquantesimo dell'Unità d'Italia, anche Rosanova non manca di fare un riferimento al 1861, seppure di sfuggita, suggerendo che, forse, la vera data di nascita dello Stato unitario andrebbe ridefinita, collocandola nel XVI secolo, e precisamente nel 1559, ovvero l'anno della pace di Cateau-Cambrésis siglata tra Inghilterra e Francia e tra Francia e Spagna.
Quel trattato defini i nuovi equilibri tra le dinastie regnanti e soprattutto sancì la debolezza politica italiana nel contesto europeo. In quell'occasione, infatti, Emanuele Filiberto di Savoia riottenne dalla Francia il proprio Stato, costringendolo però a dirigere altrove le mire espansionistiche. E' a quella data, suggerisce Guido Giubbini nell'articolo "La corona delle residenze sabaude", che risale la vocazione italiana della dinastia piemontese. Infatti, seguirono lo spostamento della capitale da Chambéry a Torino, le grandi opere per renderla una capitale e la costituzione di una nuova classe dirigente che rimpiazzasse i piccoli poteri locali.
Tutto questo si svolse tra la metà del XVI e la fine del XVIII secolo e il segnale più evidente di questo sogno di grandeur, ispirato al modello francese, sono le residenze sabaude e due castelli medievali rivisitati in chiave barocca. Dal punto di vista politico, il fiorire di questo stupefacente complesso architettonico e urbanistico degno di una monarchia europea, sembra confermare la tesi secondo cui l'unità d'Italia non fu altro che il frutto di una "conquista piemontese", un'annessione.
Come osserva lo storico Massimo Salvadori, l'unificazione è fondata sulla continuità dinastica tra il Regno di Sardegna e il Regno d'Italia, senza il salutare passaggio attraverso un'Assemblea costituente che ponesse le basi del nuovo Stato, allora rivendicata fortemente dai democratici repubblicani. Un vizio all'origine che, secondo molti, condiziona tanta storia successiva del nostro Paese.
Ma tornando allo spettacolare effetto scenico della "corona" delle residenze sabaude che si irradiano a ventaglio lungo assi alberati, a distanza regolare dai centri abitati, e tutte collegate tra loro da percorsi anulari, non si può negare che il risultato abbia un effetto monumentale. A completare la scenografia, la catena alpina sullo sfondo, un anfiteatro naturale. Particolare attenzione viene dedicata alla descrizione dei parchi e dei giardini delle residenze, alcuni dei quali recuperati negli ultimi 20 anni, che rivelano tre diverse influenze, in successione cronologica: il giardino all'italiana, il modello francese e infine il giardino informale inglese.
Avvincente la storia del castello di Hex, in Belgio, che da tenuta di caccia si convertì, nel corso del tempo, in residenza con tanto di orangerie e frutteti, fino a quando, a metà del '900, con l'arrivo di Ferdinanda Diana, consorte del nuovo proprietario, il Conte d'Ursel, conobbe una nuova stagione. Appassionata di piante ma soprattutto di rose, la signora Diana recuperò vecchi cespugli dimenticati, piantò rare specie botaniche, popolò la tenuta di rose rampicanti, trasformando Hex in un paradiso di roseti, premiato con l'Award of Garden Excellence nel 1997. Una passione ereditata dal figlio che, nel 2009, ha inaugurato un nuovo giardino di rose.
Altro scorcio affascinante è quello che ci regala Anna Kauber su un angolo della Sardegna centrale, Làconi, dove il giardino e il parco dei marchesi Aymerich si distingue per l'atmosfera di grande suggestione, con pareti di roccia a strapiombo, ruscelli e cascate, macchia mediterranea e bosco, un unicum che si compenetra con la cittadina medievale di Làconi. Proprietà della Regione Sardegna dal 1990, il parco è ricco di specie esotiche, accoglie un cedro del Libano di 5 secoli e le rovine del palazzo feudale distrutto da un incendio nel primo '800, che si fondono magicamente con il paesaggio circostante.