di Marta Matteini

Si dice spesso che la società civile sia più avanzata delle leggi che la governano, basti pensare che nel nostro Paese il delitto d'onore, retaggio di un'Italia gretta e maschilista, è stato abolito soltanto nel 1981. Riguardo all'ambiente sembra, però, che si proceda al contrario perché continua a mancare la consapevolezza di quanti danni abbiamo inflitto, e infliggiamo, a fiumi, laghi, boschi, colture, montagne, litorali, campagne e città. A livello legislativo, invece, qualcosa si sta muovendo. Premesso che l'Articolo 9 della Costituzione parla già di "tutela del paesaggio", nel 2000 è stata siglata la Convenzione europea del Paesaggio in cui si afferma che esso "rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale e che la sua salvaguardia, la sua gestione e la sua pianificazione comportano diritti e responsabilità per ciascun individuo." A livello italiano, il decreto legislativo 142/2004 sancisce la tutela di ghiacciai, foreste, paludi e altri ecosistemi in quanto patrimonio di tutti. Sembra dunque che il legislatore sia sensibile al problema. Nella realtà, però, prevale l'ottica dello sfruttamento per il guadagno di pochi, incuranti del fatto che i danni li pagheremo tutti. In questo senso la società "incivile" sembra molto arretrata rispetto alla legge, come se non percepisse ancora l'entità dello scempio e del degrado. Chiunque abbia letto Gomorra di Roberto Saviano non dimentica facilmente la descrizione di come il territorio campano sia stato sventrato e avvelenato per decenni nell'indifferenza generale di cittadini e amministratori.
Queste considerazioni prendono spunto dall'ampio articolo sul paesaggio di Guido Giubbini in cui l'autore sottolinea la necessità di un urgente ribaltamento di prospettiva, per cui il paesaggio, invece di essere considerato solo in termini economici, recuperi centralità e valore, operazione che implica rispetto, cura, senso della storia e senso del sacro.
 Tra le realtà di pregio che proponiamo in questo numero, c'è il Parco Sforza Cesarini a Genzano, vicino a Roma, in cui sì nascondeva un giardino "segreto" riscoperto solo nel 2001. Nel descrivere la rinascita di questo luogo dimenticato, l'autore, Virginio Melaranci, propone interessanti riflessioni sul fatto che il restauro non è solo ripristino ma anche sostituzione, e questa "discrezionalità" alla fine fornisce più elementi sull'identità di chi recupera che sull'opera in sé. Un altro intervento riguarda Castel Giuliano, sui monti della Tolfa, considerato uno dei più grandi roseti italiani, dove un grande prato raso al posto delle aiuole ha conferito un nuovo impatto visivo ai grandi pini a ombrello che troneggiano sulla proprietà.

Agli esperti botanici o ai cultori più appassionati, Anna Porrati regala Taccuino d'autunno, in cui descrive il suo giardino in una grigia domenica di novembre, tra meditazioni e ammirato stupore di fronte alla policromia dell'autunno.
 In ultimo, non certo per valore, Ida Tonini svela i segreti dei giardini di Venezia, angoli di verde inespugnabile, nascosti da muri di cinta o cancelli schermati, traccia di ciò che resta degli antichi orti e frutteti che, in seguito ai commerci con l'Oriente, si convertirono in giardini ricchi di piante esotiche e officinali. In questa affascinante esplorazione, scopriamo che il microclima della laguna, nonostante l'acqua salmastra, favorisce liqustri, pitosfori, qlicini, rose, e che i "qiardini verticali" esistono a Venezia da qualche secolo. Resta il fatto che tra calli e campielli una fronda o una fioritura conservano il sapore di una sfida. Nei miei anni trascorsi a Venezia da studente, non ho mai varcato un giardino privato, ma ho ancora negli occhi i cipressi dell'isola di San Michele che vedevo ogni mattina, sporgendomi dalla finestra, alle Fondamenta Nuove. Piegati dalla bora o immobili nella foschia, mi sono sempre sembrati eroici.