Come racconta l'autore, attraversare i suoi sentieri e le sue radure ci riporta alle leggende dei Nibelunghi, alle favole di Grimm, alle poesie di Heine e alla musica di Wagner in cui la foresta è una valenza quasi magica. Impenetrabile e misteriosa, è un luogo che ha alimentato leggende su demoni, streghe e sabba. Ma ad Herrnstein l'effetto dell'orrido è stato sapientemente attenuato da un rispettoso intervento dell'uomo.
Una simile fascinazione la suscita anche il Rancho Santa Ana in Orange County, California, perché incarna il paesaggio americano, sconfinato, selvaggio e con scarse presenze umane, immortalato in tanti film che hanno formato l'immaginario di diverse generazioni. E l'attigua Route 66, scoperta quasi per caso dall'autrice del testo, fa tornare in mente versi di Allen Ginsberg, brani di Jack Kerouac, fotogrammi di Easy Rider e di altre gemme della cultura beat, cinematografica e no, ormai assunte a icone.
Ma il vero pregio del Rancho Ana, ampiamente illustrato nell'articolo, è un altro tipo di "memoria", ovvero la raccolta e la classificazione di centinaia di migliaia di piante autoctone della California, nonché una sofisticata "banca dei semi" in via di estinzione, il tutto fortemente voluto e realizzato da Susanna Bixby, che nel lontano 1912 abbandonò una vita brillante a Los Angeles per crescere frutteti e agrumeti nella sua fattoria. Nel 1927, poi, fondò il Rancho Santa Ana Botanic Garden, diventato prestigioso centro di ricerca collegato a corsi universitari. Una scelta forte e assolutamente anticonformista per l'epoca quella di Susanna Bixby, un po' simile a quella della pittrice Georgia O'Keefe che, a fine anni Venti, lasciò il vibrante ambiente artistico di New York per il deserto del New Mexico, dove avrebbe dipinto le rocce, i fiori e le ossa di animali che l'hanno resa celebre.
Sempre nel 1927, come si legge in un altro interessante ritratto, un'altra donna di carattere, l'olandese Mien Ruys, dopo un soggiorno in Inghilterra dove conobbe Gertrude Jeckyll, creava il suo primo "classic English border" nel vivaio paterno, il Royal Moerheim Nursery. Affermata architetta paesaggista, ha esercitato grande influenza su molti professionisti più giovani, tra cui Piet Oudolf. La sua più grande eredità? Non ritenersi mai arrivata, voler sempre migliorare e sperimentare. Due articoli dedicati alla Liguria celebrano la specificità del suo paesaggio aspro e bellissimo, denunciando i pericoli che sta correndo. La collina di S. Ilario e l'ottocentesca Scuola per l'Agricoltura, vede i suoi orti giardini e poderi storici minacciati dalla costruzione di una strada che distruggerebbe quello che viene definito "paesaggio pedagogico", ovvero un luogo che per storia e ricchezza naturalistica è un "laboratorio spontaneo" che potrebbe accrescere "nella società civile, la sensibilizzazione al valore dei paesaggi, la capacità critica e quella decisionale e partecipativa rispetto alle politiche ambientali e territoriali".
L'altro allarme riguarda gli inconfondibili muri a secco rivestiti di bordure fiorite che si confondono con la flora spontanea sbocciata tra le pietre: il degrado, l'abbandono e l'uso del cemento potrebbe cancellarli definitivamente.
Dell'articolo sulla manifestazione di Courson, "Tutto un anno in compagnia dei bulbi", ricco di preziose note per vivaisti e giardinieri esperti, riporto una frase emblematica, applicabile anche ad altri ambiti, dove le leggi del mercato e una bieca ignoranza di noi stessi stanno eliminando qualsiasi spessore culturale. "Ma siamo proprio certi che sia impossibile percorrere altre strade e lavorare per educare al gusto, sviluppare il senso del bello, del tempo, delle stagioni, dei ritmi biologici di crescita?" Tre righe che riassumono un ottimo programma di educazione permanente.